Piazza Vittorio al centro delle narrazioni

  • Tema: Architettura; Letteratura; Curiosità

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Un luogo privilegiato per fare da sfondo a romanzi e racconti, è la grande e animata piazza Vittorio, con il suo giardino al centro e l’intreccio di strade che la circondano popolate da gente di ogni nazionalità e provenienza.

Così ne parla Pierpaolo Pasolini in Ragazzi di vita del 1961:
“Quel giorno andarono a mangiare dai frati. Per forza, perché con tutto che avevano girato l'intera mattinata per Piazza Vittorio, non avevano rimediato una lira. Bianchi per la fame passarono loffi loffi sotto le impalcature della stazione, e arrivarono a via Marsala, dove al numero duecentodieci c'era un portoncino con sopra scritto "Refettorio", del Sacro Cuore o della Beata Vergine, uno di quei nomi lì. Misero dentro prima il naso, poi la capoccia, facendo un passo avanti e mezzo dietro, acchittati com’erano, e solo il Riccetto con le scarpe di pezza: e si trovarono dentro un corridoietto che dava in un cortile di terra battuta, pieno di tanti penitenti come loro due che giocavano a pallacanestro, e si vedeva benissimo che lo facevano tanto per far contenti i frati…Per una decina di giorni il Riccetto e il Caciotta andarono lì. Il mezzogiorno solo però, perché alla sera i frati chiudevano bottega. Così tante volte i due mangiavano un turno solo al giorno. La sera s’arrangicchiavano. O coi soldi che rimediavano di mattina alla stazione o al mercato di Piazza Vittorio, o fregando qualcosa per le bancarelle. Finalmente una sera la fortuna gli sorrise e mandarono i frati affà…. Fu sopra una circolare, dov’era salita una signora con una borsa con dentro un borsellino: quel borsellino, attraverso la vetrina del pizzicarolo di via Merulana dove la signora poco prima era entrata, s’era mostrato gonfio in maniera promettente … [Il Riccetto e il Caciotta] rincorsero la circolare già in moto e ci saltarono dentro in corsa. Ognuno entrò per conto suo e andarono a mettersi appresso alla signora. Quella se ne stava attaccata al mancorrente, guardando con odio i vicini. Il Riccetto le si mise più accosto, perché era lui che se la doveva lavorare, e il Caciotta gli stette dietro per nascondergli i movimenti, mentre che il Riccetto, aperta piano piano la borsa, levava il borsellino con la mano destra, e se lo faceva scorrere contro il costato sotto il braccio sinistro, fino a stringerselo sotto l’ascella. Poi, sempre riparato alle spalle dal Caciotta, si fece largo in mezzo alla gente, e scesero alla prima fermata tagliando giù per i giardini di Piazza Vittorio.”

Francesca Melandri in Sangue Giusto del 2017:
“Il più alto dei colli finali di Roma, l'Esquilino, odora di Kebab, kimki, masala dosa. I suoi palazzi hanno soffitti alti ma non sempre l'ascensoreUna zaffata di curry, densa come una scia, entra dalla finestra che dà sul cortile. Si sparge nella tromba delle scale e investe in pieno Ilaria ma non la distrae dalla sua rabbia. Però le fa arricciare il naso….
Entrando a piazza Vittorio diretta alla stazione della linea A era stata investita, come spesso di domenica, da una musica esotica. Proveniva dagli amplificatori su un palco nello spiazzo in mezzo al giardino, che oggi pareva un lembo di Punjàb: le donne in salwar kameez, gli uomini con barba lunga e turbante.
"Già passato un anno dalla scorsa festa sikh"? si meravigliò Ilaria. Dell’ultimo compleanno di Guru Nanak aveva un buon ricordo: aveva mangiato ottime malai kofta e riso allo zafferano. Però oggi non ne aveva il tempo e poi aveva già dato. Evoluzioni di draghi di carta nel Capodanno cinese: viste. Cibi al curry durante la festa di Diwali: assaggiati. Prodotti equosolidali sulle bancarelle di Intermundia: acquistati. Non lo sapeva nemmeno, a quante feste etniche a piazza Vittorio aveva partecipato. Spesso c'erano le telecamere di qualche tg regionale che inquadravano giornaliste ben pettinate , sicuramente residenti in altri quartieri ma interessatissime a "quella nuova realtà". Nei loro servizi sul rione.... erano usate con slancio e passione civica parole come tolleranza, laboratorio, convivenza, multiculturale. Citavano il recente film sull'orchestra che, fondendo le diverse tradizioni musicali del quartiere, aveva preso il nome dalla piazza umbertina. Sgranando gli occhi verso la camera esclamavano "l' Esquilino è il futuro!"
Ilaria vedeva le cose diversamente. Il suo rione, quello in cui da decenni comprava il latte al bar sotto casa, impazziva a trovare parcheggio, scambiava due chiacchere con i vicini, faceva lo slalom tra le cacche di cane sui marciapiedi, non aveva niente da guadagnare nell'assurgere al rarefatto status di simbolo. I ragazzini cui insegnava ogni giorno avevano condiviso i banchi sin dalle elementari con compagni cinesi, marocchini, filippini e italiani, eppure di essere un “laboratorio di convivenza” non se ne erano mai accorti. Ilaria sedeva al tavolo di formica nella piccola cucina con in mano il caffè e ascoltava i racconti di quando al mercato di Piazza Vittorio non c'erano solo il pizzicarolo, il macellaio, il verduraro, ma pure le giostre, i banchetti con le caramelle e i bruscolini, il venditore di canarini, il fotografo, e a farci la spesa venivano anche da molto lontano. Le borgatare scendevano dalle Ferrovie Laziali con i soldi nel reggipetto, strillavano come gatte accusando i venditori di volerle fregare, poi però risalivano sui treni con enormi ceste piene di verdura in bilico sulla testa e tornavano la settimana dopo.”

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