Esquilino, il rione delle acque

  • Tema: Archeologia; Urbanistica

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“Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini; la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso“.

Queste le parole con cui Plinio il Vecchio ci racconta gli acquedotti romani, opere di ingegneria così grandiosa ed evoluta da continuare ad essere ancora oggi in parte funzionante.
Realizzati in modo da avere una pendenza costante in grado di sfruttare la forza di gravità per condurre le acque verso la città, gli acquedotti possono essere pensati come lunghi ed enormi scivoli che vanno dalle sorgenti fino a valle, con vasche intermedie di decantazione.
Degli acquedotti (circa 11) che alimentavano l’antica Roma, almeno 8 confluivano alle pendici dell’Esquilino, zona ricca di ville, di giardini e di fontane. Di questi acquedotti numerose sono le tracce conservate fino ad oggi: quello dell’Anio Vetus (Aniene Vecchio) - che ha un percorso di quasi 63 km - è visibile vicino a Porta Maggiore, a Piazza Pepe e nel suo tratto finale nei pressi dell’arco di Gallieno. Oltre all’Anio Vetus, altri celebri acquedotti presenti nell’Esquilino sono quello dell'Acqua Marcia che passava sull’attuale Porta Tiburtina e quello dell’Acqua Iulia, visibile a via Turati e nei giardini di via Statilia. In generale alcune delle porte (Porta Maggiore, Porta Tiburtina e Arco di Gallieno, già Porta Esquilina) coincidono con tratti di acquedotto.

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